2 aprile 2017
Verona, chiesa di S. Maria della Scala
Dal “cantiere permanente” al “restauro ricorrente”. Il progetto di conservazione dei prospetti esterni della chiesa di S. Maria della Scala a Verona.
Risultati fondamentali per la messa a punto delle strategie di intevento sono stati: la scoperta che parte del rivestimento in facciata è una fodera che nasconde e ingloba le precedenti strutture, anzichè una muratura a sacco; l’individuazione di una massiccia presenza di sali solubili come causa della diffusa disgregazione delle malte sia nel nucleo murario che nelle stilature del paramento di facciata, che rischiava di compromettere seriamente la tenuta statica dello stesso; la corretta lettura delle diverse componenti laterizie e lapidee dei paramenti assieme a quella di trattamenti superficiali e pellicole intenzionali, testimoni delle differenti fasi costruttive e dell’intenzione di esaltare, accordare e/o proteggere il tessuto architettonico nelle sue componenti materiche e cromatiche.
Sia l’intervento strutturale che quello sulle superfici sono quindi stati calibrati in modo da utilizzare il minimo indispensabile di acqua, per evitare l’incremento dei fenomeni di disgregazione legati alla proliferazione sopratutto di cloruri e nitrati.
Nel primo caso la cortina laterizia distaccata è stata legata al nucleo murario retrostante ricorrendo a sistemi di ancoraggio meccanico piuttosto che a infiltrazioni e saturazioni dei distacchi con malte idrauliche; sono state utilizzate barre in acciaio inox inserite in calze metalliche con inclinazione di 45° per una profondità di ca un metro. Le calze metalliche hanno permesso di colare la resina utile a legare i diversi elementi senza che questa fosse dispersa nello spazio interstiziale.
La pulitura delle superfici è avvenuta procedendo cautamente per gradi e ponendo la massima attenzione a mantenere le tracce di trattamenti cromatici e protettivi individuati; ove necessario le miscele disperse in mezzi acquosi sono state tenute a contatto con le superfici attraverso supportanti che ne riducessero la bagnabilità e per il minimo tempo indispensabile a sortire l’effetto desiderato.
A infiltrazioni di acqua di calce, stuccatura, microstuccatura e ristilatura dei giunti che avevano subito forte perdita di materiale è stata affidata la responsabilità di restituire coesione alle malte e chiudere accessi e vie preferenziali d’infiltrazione delle acque meteoriche. In presenza di una così alta concentrazione di sali solubili è infatti sembrato sconsigliabile l’utilizzo di prodotti chimici per assorbimento, quali ad esempio il silicato di etile, che è stato limitato alle fasi di preconsolidamento puntuale.
Per un approfondimento si veda anche la pubblicazione degli Atti del Convegno di studi di Bressanone in Scienza e Beni culturali XXIV, 2008 – Restaurare i restauri
Testo e tavole a cura di:
Filippo Legnaghi*, Raffaela Braggio*, Genziana Frigo*, Cristiana Beltrami°,
Michele Raffaeli***, Alberto Totolo°°, Mirella Baldan°°°, Francesca Strazza^,
Massimiliano de Adamich^, Giovanni Castiglioni** * A.c.M.e. Studio – Verona
° R.O.M.A. Consorzio
°° Studio Archipedia – Verona
°°° RC lab
^ Libero Professionista
** Dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici – POLITECNICO DI MILANO
*** L.A.M.M., DPA, Professore a contratto di Rilievo dell’architettura, Politecnico di Milano